Ieri in taxi, ascoltando la radio, ho pensato che dovevo proprio fare outing. Eccomi qui, a farlo: ci sono delle canzoni di Tiziano Ferro che mi piacciono da morire. Ecco, fatto.
Detto ciò, recupero un po'di autostima raccontando che in questa due giorni emiliana in cui ho incontrato un bel po'di amici ho terminato la lettura di Bilal, di Fabrizio Gatti. Gatti è uno di quei giornalisti che il giornalista lo fanno davvero, avendo capito che l'unico grande dovere di un giornalista è raccontare la realtà. In Italia non capita spesso. Lui in particolare ha l'abitudine di lavorare sotto copertura, e così negli anni è stato un immigrato rumeno rinchiuso nel ctp di via Corelli a Milano, un curdo a Lampedusa nella rotta sahariana percorsa dagli immigrati che si giocano la vita per attraversare il deserto e imbarcarsi su un'imbarcazione fatiscente, un africano "schiavo" dei caporali nei campi di pomodoro in puglia.
Il resoconto è sconvolgente.
Tutti dovrebbero conoscere queste realtà di dolore, violenze, di vite rubate. Questo folle coraggio di Gatti, che in fondo poi fa "solo" il suo lavoro, ci voleva proprio.
lunedì 26 novembre 2007
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Concordo, anche io ammiro il giornalismo "vissuto sulla propria pelle" che fa Fabrizio Gatti.
RispondiEliminaMolti altri giornalisti dovrebbero imparare da lui come si fa a scrivere di cose che si sanno e non di quelle CHE NON SI SANNO, come fanno in molti...