Telecomando di ricino, di Alessandro Robecchi
Che bisogno c’è di usare il manganello quando già si impugna un telegiornale? E’ innegabile che il trucchetto del capro espiatorio non solo funziona, ma si allarga a macchia d’olio. E’ passato appena un anno da quando i cattivi da eliminare erano i lavavetri di Firenze. Dài e dài, come la goccia scava la roccia, la propaganda convinceva tutti che del declino di una città fossero responsabili quattro straccioni. Era un inizio in sordina. Poi vennero gli zingari, gli stranieri in generale, i senza diritti, i senza garanzie. Il sistema funziona così bene che ce lo troviamo oggi applicato ai lavoratori dell’Alitalia (per esempio), dipinti ogni giorno come vampiri della loro azienda, gente che fa il nababbo mentre tutto affonda, per cui si sente parlare di assistenti di volo e hostess come si parlasse di Briatore. Se il capo del governo vede andare in crisi il suo truffaldino piano di “salvataggio”, va trovato un colpevole: la Cgil, i lavoratori. Il manganello picchia lì. Altro esempio, la polemica sui famosi “fannulloni”, che nel volgere di un annetto scarso ha partorito Brunetta e creato la sensazione diffusa che chiunque lavori per la pubblica amministrazione sia lì a rubare lo stipendio. Lo stesso (aspettate e vedrete) succederà tra breve, quando si tratterà di licenziare alcune decine di migliaia di maestre elementari. Si dirà che non sono all’altezza del compito (la Gelmini l’ha già detto), che costano e non producono. Il manganello mediatico comincerà a lavorare sodo: sono troppe, lavorano quattro ore al giorno, il tempo pieno allontana i bimbi dalle famiglie, eccetera eccetera, finché leggeremo in uno di quel sondaggi volanti che vanno tanto di moda: l’80 per cento degli italiani non ne può più delle maestre! E poi? E poi avanti un altro, la platea dei manganellandi è infinita, comprende chiunque ancora pensi di avere qualche diritto, parola che il linguaggio del manganello subito traduce in “privilegio”. La chiamano modernizzazione, e hanno ragione: prendere l’olio di ricino col telecomando è una bella comodità.
Robecchi è un grande, l'adoro. Hai fatto bene a pubblicare il pezzo. Hai visto che il giornale dove scrive, il manifesto, rischia di chiudere?
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RispondiEliminaIn che mani ci siamo messi. Direi proprio la realizzazione perfetta del piano di rinascita democratica della P2.
RispondiEliminaMa quando ci decideremo a ricostruire qualcosa che faccia le veci della defunta sinistra? Mi manca il vecchio PCI, che tutto sommato era un potente argine a certe derive. Ma quelli che adesso lo vorrebbero emulare mi fanno cascare le braccia.
Putroppo è tutto vero :-(
RispondiEliminacomplimenti per il bel post e per il bel blog... buona giornata, ciao
RispondiEliminaè una magia! ad ogni nuova cazzata del governo si cambia scenario ed oplà! ecco in tv i nuovi successi del premier o concorsi di miss e mister !!
RispondiEliminaAdoro Robecchi, quando scrive, piovono pietre!
RispondiEliminarobecchi non è un grande alligatore.. è un mito.
RispondiEliminaHai ragione Alfie, Robecchi è mito, anzi, come diceva Paolo Rossi in una vecchia trasmissione TV, più che un mito, un mitomane ...
RispondiEliminaNon posso che quotare tutto. Parola per parola.
RispondiEliminaGrazie per averlo pubblicato.
Direi che non c'è nulla da aggiungere.
RispondiEliminaCondivido in pieno ogni parola...
ahimè, il mondo va a rotoli e noi non possiamo far altro che attendere.
RispondiEliminaMenomale che ci sono persone come te che hanno gli occhi ben aperti su queste cose.
A presto,
Rosy
Condivido tutto, dalla prima all'ultima lettera di questo post e mi è di sollievo vedere che sono ancora in molti ad accorgersene di queste cose.
RispondiEliminaTra "ricino" e "purghe", pure in politica è questione di "pelo", e non solo in "quel" senso: o con "baffetto" o con "baffone", cambiano i "suonatori" ma la musica risulta essere sempre la stessa.
RispondiEliminaciao
Salvatore
Ciao Valeria hai descritto egregiamente la realtà... e temo che il peggio deva ancora venire...
RispondiEliminaCarino questo blog, complimenti.
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